
La Cassazione accoglie il ricorso di un rasta: "La loro religione lo prevede, aiuta la preghiera e la contemplazione".
ROMAI giudici devono essere comprensivi nei confronti dei rasta fari trovati in possesso di abbondanti quantitativi d'«erba», poichè è la loro religione a prevederlo. Fumare marijuana favorisce la contemplazione e la preghiera «nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di re Salomone». Lo sottolinea la Cassazione, che ha accolto il ricorso di Giuseppe G. contro la condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione e 4 mila euro di multa per detenzione a fine di spaccio inflittagli dalla Corte di appello di Perugia nel 2004. I carabinieri lo avevano trovato con circa un etto di "erba", ma l’uomo ha sostenuto in Cassazione di essere un rasta fariano e di fumare l’erba in base ai precetti della sua religione, che ne consentono l’uso quotidiano anche di 10 grammi al giorno. In particolare la Suprema corte - con la sentenza 28270 della Sesta sezione penale - ha ritenuto «fondato» il ricorso con riferimento al fatto che i giudici di merito non avevano considerato «la religione di cui l’imputato si è dichiarato praticante», escludendo pertanto che potesse detenere un simile quantitativo di marijuana per esclusivo uso personale. Gli "ermellini" spiegano che «secondo le notizie relative alla caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come "erba medicativa". Come tale, possibile apportatrice dello stato psicofisico teso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di re Salomone - chiamato "il re saggio" - e da esso ne tragga la forza». Per questa ragione la Cassazione ha rimproverato la Corte d’appello di Perugia per aver condannato Giuseppe solo sulla base del «semplicistico richiamo al dato ponderale della sostanza», trascurando di valutare le «modalità comportamentali del "rasta" ». I giudici della Corte d’appello, secondo la Cassazione, non hanno «operato una logica ricostruzione del fatto», essendo «pacifico» che fu proprio l’imputato a consegnare spontaneamente ai carabinieri una busta contenente marijuana non preconfezionata, precisando subito che il possesso dell’erba era «da lui destinato ad esclusivo uso personale, secondo la pratica della religione rastafariana di cui si era detto adepto».
Dai dati emersi nel procedimento, conclude la Suprema Corte, non si può escludere «l’invocato uso esclusivamente personale» di marijuana e per questo i giudici perugini dovranno riesaminare la questione.Adesso toccherà alla Corte d’appello di Firenze riesaminare la vicenda, perchè i giudici di Cassazione hanno annullato, con rinvio, la condanna di Giuseppe.
LA STAMPA 10 LUGLIO 2008